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Storie di vita

Max e il primo bacio in pubblico

Internazionale 31/10/2016

Max stringe la mano di Giovanni, lo guarda e si trattiene, come ad aspettare un suo cenno e poi comincia a raccontare

Max stringe la mano di Giovanni, lo guarda e si trattiene, come ad aspettare un suo cenno e poi comincia a raccontare: “Quando siamo andati insieme alla manifestazione #svegliatitalia per le unioni civili al Pantheon a Roma io non volevo tenergli la mano, avevo paura che da qualche angolo venissero fuori a menarci”, si ferma Max e sorride. “Anche se razionalmente so che in Italia non c’è nessun rischio, avevo paura”, afferma.

Al Pantheon, durante la manifestazione per il riconoscimento delle unioni civili del 23 gennaio scorso, Max e Giovanni si sono dati per la prima volta un bacio in pubblico. Ora vivono insieme, ma all’epoca avevano appena cominciato a frequentarsi. “Andando via dal Pantheon siamo passati sotto a un arco a palazzo Madama, in un posto anche molto romantico, e lui non mi voleva dare la mano”, conferma Giovanni, “io cercavo di dirgli ‘lascia che ci vedano, che ti importa’. Ma la sua paura era completamente irrazionale, era abituato a essere perseguitato”.

Max ha 35 anni e vive in Italia da due, è nato e cresciuto a San Pietroburgo poi si è trasferito a Simferopoli, in Crimea, dove è rimasta tutta la sua famiglia. In Italia ha chiesto e ottenuto lo status di rifugiato perché nel suo paese, la Russia, era vittima di violenze e discriminazioni in quanto omosessuale ed era perseguitato fin da bambino. […] Max da poco più di un anno vive con Giovanni, un italiano di cinquant’anni, ma a sua madre in Russia non riesce ancora a dire che è innamorato e che vive insieme al suo compagno.

[…] Dalla scoperta di essere attratto dalle persone del suo stesso sesso verso i sette anni, fino a quando, a tredici, è stato picchiato da un gruppo di ragazzi.

“Mi dicevano che ero frocio, ma io non sapevo neppure che significasse. Mi hanno aspettato fuori da scuola, avevano 17 o 18 anni, erano più grandi di me. Hanno cominciato a insultarmi, hanno detto che dovevo andarmene dal quartiere perché ero gay e poi mi hanno massacrato di botte e io a casa non ho potuto nemmeno spiegare perché mi avevano picchiato”. Per le violenze subite, Max è stato ricoverato e ha perso l’uso di un rene.

“Mia madre non capiva cosa era successo e io non potevo spiegarglielo, non volevo crearle problemi perché vivevamo soli noi due, dopo che i miei avevano divorziato”, dice Max. “Da quel momento ho provato a essere quello che mi chiedevano di essere quei ragazzi che mi avevano picchiato, ho provato a cambiare, ma per me è cominciato un lungo periodo di depressione”. […]

“Al terzo tentativo di suicidio ho capito che tanto valeva vivere”, ricorda. Grazie al servizio civile internazionale Max arriva in Italia, a Tarquinia, e comincia a frequentare la comunità lgbt di Roma, poi decide di fare domanda di asilo. “Quando sono andato a presentare la domanda alla questura di Viterbo è stata dura, la persona che ha accettato la domanda era un po’ rigida, sembrava imbarazzata per la mia richiesta”, racconta.

Dopo solo un mese Max è stato chiamato per l’appuntamento con la commissione territoriale: “Mi ricordo benissimo quel momento: era domenica, alle dieci di mattina, e ho ricevuto una telefonata in cui mi dicevano di andare a prendere questo foglietto per fare il colloquio. Ero felice, non ci potevo credere, ero preparato ad aspettare molti mesi prima di essere convocato e invece è stato più veloce del previsto”.

[…]  “Pensate ai ragazzi più giovani che si trovano a vivere in questa condizione di illegalità. In paesi come la Russia il numero dei suicidi è altissimo ma nessuno ne parla”, spiega Max. In Italia il circolo Mario Mieli e l’Arcigay hanno attivato degli sportelli per aiutare i migranti e i richiedenti asilo lgbt. “La maggior parte delle persone che si rivolge alla associazioni è costituita da richiedenti asilo che vengono da paesi africani dove l’omosessualità è punita pesantemente”, racconta Max.

[…] La madre di Max chiama spesso a casa per sapere come sta suo figlio e gli chiede se ha trovato una fidanzata. “Non immagino che reazione potrebbe avere se le dicessi che il mio fidanzato si chiama Giovanni. È una persona molto gentile mia madre, molto forte, ma è omofoba”, dice Max.

Max racconta che in Russia essere gay significa vivere di nascosto. “Nel mio paese, l’omosessualità provoca sentimenti di disgusto nelle persone, si pensa che essere omosessuali sia una perversione occidentale”.

“I gay e le lesbiche suscitano sentimenti di paura, perché manca qualsiasi esperienza di cosa sia una coppia gay”, racconta. “Penso spesso a come reagirebbe mia madre, penso che ne sarebbe inorridita. Ma credo che prima o poi glielo dirò”.

“Potremo decidere di dirglielo quando ci sposeremo”, scherza Max, “se Giovanni non mi lascerà prima, perché ancora non ho imparato ad andare in bicicletta”.